19 agosto 2006

Non dimenticateci


Dal Venezuela in crisi profonda sale il grido dei nostri connazionali: siamo italiani e cristiani, aiutateci a non scomparire!

Il contesto generale

E’ passata velocemente la settimana che avevamo programmato per la visita ai missionari italiani e alle Associazioni che si occupano del nostri emigranti in Venezuela. Le distanze tra le diverse localita’ e le numerose realta’ che si rifanno al nostro Paese non ci hanno dato respiro. Anche se avessimo avuto del tempo disponibile, difficilmente avremmo pero’ fatto la visita turistica delle cittá inserite nel nostro itinerario. In Venezuela la gente, soprattutto quella italiana, vive nella paura della violenza, dei furti e delle rapine. Tutti gli edifici hanno le grate alle porte e alle finestre, muri di recinzione con alla sommita’ il filo spinato, mentre vigilantes armati presidiano ogni porta e passo carraio di condomini, edifici pubblici e negozi. Una specie di carcere collettivo, su base volontaria ma comunque imposta dalla situazione, dato che nessuno si fida a camminare per strada con qualsivoglia oggetto di valore e meno ancora con soldi. Tra l’altro tutti si limitano a trasferirsi da luogo a luogo solo per necessita’, esclusivamente in auto (meglio se blindata) seguendo tragitti opportunamente calcolati. La violenza e’ di casa nel Paese baciato dal sole e il regime che ormai controlla tutto e tutti sta togliendo la speranza ai giovani, italiani e venezuelani, i quali cercano in tutti i modi di emigrare in America e in Europa. Anche gli anziani sono sfiduciati, molti non hanno pensione e tanti altri bruciano i loro piccoli patrimoni (perfino le case) cosi’ duramente sudati, per pagare a malapena le spese ospedaliere e di cura. Le “favelas” stridono con i vicini quartieri ricchi e le auto circolanti, spesso letteralmente sfasciate, sfigurano accanto a quelle nuove di zecca. Da questi mezzi vecchi e nuovi ogni tanto scende qualche bandito che, con le armi in pugno e con molte complicitá perfino pubbliche, rapina, ferisce o ammazza imprenditori specialmente italiani. Incontrare gli italiani che vivono quaggiu’ in condizioni di questo genere non e’ cosa affatto semplice, ma in ogni caso necessaria. Lo facciamo come Migrantes, nell’intento di raccogliere elementi di valutazione utili alla Chiesa italiana per le sue scelte future in questo settore. E’ chiaro che i nostri interlocutori vedono in noi persone in grado di informare la Chiesa italiana dei loro problemi, cosa che faremo certamente, come pure apprezziamo il fatto che tramite noi sentano che la Chiesa di partenza non li ha dimenticati. Dare speranza fa parte del dovere dei cristiani ed ancor piu’ della Chiesa. Una Chiesa che e’ si universale, ma che e’ anche particolare: vive cioe’ in un determinato territorio, quello venezuelano. A differenza di altre parti del mondo, come quelle anglo-sassoni dove l’impatto con la lingua locale e’ alcquanto difficile, nell’America Latina è relativamente facile per la gente del posto comprendere e parlare lo spagnolo. L’esigenza di liturgie in lingua italiana è percio’ meno avvertita, anche se pregare Dio nella lingua natia è sempre piu’ spontanea e maggiormente confidenziale, quasi fosse piu’ diretta. A tener viva la fiaccola dell’italianita’ ci sono le Associazioni italiane, i Clubs italo-venezuelani, ma ancor piu’ i missionari italiani. Nelle chiese delle missioni cattoliche italiane si prega e si canta in italiano e i missionari sono dei punti di riferimento privilegiati per gli italiani sempre piu’ sfiduciati dall’evolversi della situazione in modo negativo. Ma i missionari, primi fra tutti gli Scalabriniani, i Rosminiani, i Salesiani, i Conventuali ed altri, non sono al servizio esclusivo degli italiani. Essi devono il piu’ delle volte sovraintendere anche al terriorio e le loro missioni diventano anche parrocchie dove si prega in lingua spagnola. I loro collegi, sui quali grava ora l’incognita della limitazione dell’attivitá preannunciata dalle autoritá statali, sono frequentati in buona parte dai venezuelani.

La transizione

Ci sono altre transizioni in corso: diverse misisoni cattoliche chiudono i battenti per la scarsitá di vocazioni fatto che impedisce il ricambio delle risorse umane. Risorse che vengono implementate da vocazioni provenienti da paesi dell’America Latina, ma che non bastano. Allora le parrocchie vengono restituite alle diocesi locali che nominano parroci i sacerdoti venezuelani, la cui consistenza va aumentando, fino a raggiungere quasi l’autosufficienza. Gli italiani si lamentano di queste situazioni che loro considerano una pesante privazione; cosa si puo’ fare pero’ di concreto per ovviare a questo stato di cose? Quanti sono i figli degli degli emigranti italiani che hanno abbracciato la vita religiosa o sacerdotale? Ben pochi, ci viene fatto notare. Allora sara’ per loro il caso di stringersi attorno ai pochi sacerdoti italiani che ancora operano nel Paese, aiutandoli nelle questioni che appartengono ai laici. La gestione dei collegi cattolici, la catechesi, l’animazione liturgica sono cose di cui i laici possono e devono occuparsi. Laddove non ci sono sacerdoti italiani il discorso non cambia: le comunita’ italiane possono individuare delle persone ben motivate per fare lo stesso lavoro, con modalita’ diverse, chiedendo ai vescovi locali le attenzioni necessarie per poter proseguire con una forma di pastorale, rispettosa delle esigenze degli italiani, soprattutto di quelli della prima generazione. Un censimento dei religiosi e delle religiose che hanno studiato in Italia e che conoscono percio’ l’italiano, potrebbe costituire un motivo di sinergia utile alla Chiesa di partenza e a quella di arrivo. E’ risaputo, e il discorso vale anche in Venezuela, che le comunita’ etniche, quella italiana in particolare, sono le piu’ unite tra di loro anche nel vivere le celebrazioni liturgiche, siano esse relative alle feste principali, a quelle dei santi dei paesi d’origine e agli appuntamenti piu’ significativi della vita di ciascuno di noi (battesimo, prima comunione, matrimonio e funerali). Pregare Dio nella lingua materna non e’ una cosa obbligatoria, ma agevola certamente la spontaneita’ e la prossimita’ con il Padre eterno da parte di quanti sono nati in altre nazioni e che da quelle chiese particolati hanno ricevuto il battesimo. La crisi delle vocazioni e la scarsita’ della provvista di clero chiama dunque i laici ad una maggiore responsabilita’, aprendo una nuova stagione al protagonismo dei laici stessi.

Il ruolo della Associazioni

Le Associazioni d’ispirazione cristiana, aderenti o meno all’UCEMI, possono fare molto lavoro in questa direzione. Le risorse umane per consentire un loro adeguato rinnovamento generazionale in Venezuela ci sono; basta solo allargare la rete delle persone incontrate in questa visita e ripartire ancor piu’ motivati. Anche le Associazioni dei corregionali e diciamo pure dei connazionali che a vario titolo si associano tra di loro (compresi i Clubs e le Case Italia) non sono distanti da questo modo cistiano di pensare (tutti ritengono che l’italianita’ si sposi bene con la cristianita!). Probabilmente non potranno avere piu’ il sacerdote italiano nelle loro strutture, ma potranno invece andare nelle chiese dove ci sara’ una qualche forma di pastorale italiana. I Vescovi locali incontrati, da quello di Maracaibo (Presidente della Conferenza Episcopale) Mons. Santana, quello di Barquisimento Mons. Azuaie, di Maracay (che amministra anche Valencia) e l’Ausiliare di Caracas hanno assicurato il loro interesse per questo modo di procedere. Uno scambio di sacerdoti e seminaristi, per qualche breve tempo, a fini formativi potrebbe sugellare un percorso pastorale che non ha alternative. E’ stato percio’ importante far arrivare alle tante persone incontrate il saluto di Migrantes, che certamente interpreta anche la volontá di vicinanza della CEI. Forse e’ troppo poco per chi soffre veramente l’angoscia per le incognite che il futuro (speriamo di no!) potrebbe riservare loro. Ma e’ giá qualcosa da riprendere, perfezionare, ampliare con gesti concreti di solidarieta’ umana e cristiana, anche di tipo organizzativo. Speriamo che i tanti laici incontrati diano dei risconti positivi ai tanti appelli lanciati nel corso di diversi incontri mediamente ben partecipati.

Ridare speranza al futuro con l’eperienza del passato

Gli Scalabriniani, persone veramente specializzate nel settore delle migrazioni, con le poche unita’ rimaste sul posto (si contano nelle dita di una mano!), lavorano in questa direzione pur non essendo i soli. (non sono i soli ma certamente hanno nel settore un carisma del tutto particolare). La loro rivista “Incontri” rappresenta ancora uno strumento di collegamento valido ed efficace per non lasciare senza olio la fiamma della speranza cristiana dei nostri connazionali che vivono in Venezuela. Franco Soressi, che a questa rivista dedica molto del suo tempo, oltre a conoscere per bene la situazione dell’intera nazione venezuelana, forte degli elementi acquisiti durante l’assistenza nei viaggi interni e negli incontri svoltisi in una settimana particolarmente intensa, non manchera’ di tenere i contatti necessari perche’ la “rete” si ampli il piu’ possibile. La speranza e’ che non capiti l’irreparabile. La fede cristiana non ci autorizza a disperare, ma chiama tutti noi, Istituzioni comprese (soprattutto quelle Consolari e i COMITES) a pensare per tempo soluzioni e rimedi.

5. Sicurezza e pace sociale in un Paese in crisi

Anche gli italiani sono vittime di rapimenti che passono sotto silienzio da parte dei nostri mass media. Si tratta pero’ di connazionali e c’è disparitá rispetto a situazioni analoghe che capitano altrove. Figli e figliastri? Se lo chiedono i nostri connazionali che auspicano altresi’ una burocrazia a misura d’uomo quando si tratta di fornire assistenza agli anziani indigenti. La comunita’ italiana e’ veramente con il morale a terra e chiede piu’ attenzione. Vendere la casa per pagare una degenza ospedaliera non `una prosepttiva accattivante. Passare senza accorgersi nella fascia dell’indigenza è cosa frequente che molti vivono con umiliazione, tant’e’ che pochi osano chiedere assistenza. Il rammarico sta proprio nel non averne potuti incontrare di piu’, oltre a quelli trovati nelle parrocchie e nei centri di assistenza, case di riposo e patronati. Abbiamo solo costato una crisi profonda: non c’è dubbio che qualcosa di urgente ed incisivo va fatto da subito. Ce lo suggerisce la nostra coscienza di cristiani e di italiani. (LP)

Venezuela da capire


Venezuela, un Paese dalle tinte fosche che reclama per i nostri connazionali scelte urgenti, coraggiose, ampiamente condivise e soprattutto concretamente incisive

1. Capire come vivono gli italiani in Venezuela

Ero straniero…affamato…ammalato, ma ben pochi se ne sono accorti. Questo potrebbe
essere l’identikit di tanti italiani che vivono in Venezuela e che Migrantes ha visitato per dimostrare quantomeno vicinanza dell’organizzione ecclesiale italiana. Da sempre c’e’ stata attenzione per i migranti da parte della Chiesa, non solo italiana ma anche venezuelana, che comprendono le difficoltá che il popolo locale (senza distinzione di nazionalità) stra attraversando. Nel momento in cui Migrantes sta predisponendo un rapporto dell’emigrazione italiana nel Mondo, una ricognizione della situazione in cui versa la stessa emigrazione nei luoghi dove è maggiormente concentrata, appare quantomeno necessaria. Anche perche’ il rapporto non e’ essenzialmente religioso, ma uno strumento scientifico e sociologico, dalla vasta visione generale del fenomeno migratorio, con forti sottolineature delle crisi in atto, siano esse dovute alla mancanza di nuovi operatori del settore oppure a vere emergenze sociali ed economiche.

2. Una situazione di pesante diffícoltà

Quanti hanno avuto il compito di andare in Venezuela, sotto il sole cocente d’agosto, non hanno sofferto tanto per il caldo, quanto per le situazioni che sono state riferite, relative al clima sociale incandescente, che lascia ben poco sperare. Lo scambio di vedute con vari Vescovi locali, con i sacerdoti italiani ancora presenti sul posto, con tanti laici e rappresentanti dell’associazionismo cristiano, ma anche di espressione civile, ci ha dato l’idea di quanto stia accadendo in termini scarsa di stabilità sociale. Non abbiamo elementi di riscontro al di la delle denuncie ascoltate da nostri connazionali incontrati. Non siamo neppure in grado di fare valutazioni politiche che non ci appartengono. Parliamo solo di cose ascoltate e del clima pesante che si respirava negli ambienti frequentati. Non abbiamo potuto entare in alcun negozio per paura di essere derubati. Senza carta di credito non si accede all’ospedale; chi non ce l’ha muore per strada. Il razionamento viveri ed altre misure economiche finiscono con l’arricchire le nuove classi che comandano il Paese, in gran parte militarizzato. Eppure il Venezuela esporta pertolio ovunque e incassa miliardi di dollari che, anziche’ finire nelle casse dello Stato per aiutre i poveri, prendono la strada di regalie all’estero nel tentativo di accrescere il peso politico del nuovo “conducator”. Molti dei disoccupati non prendono neppure i sussidi che spetterebbero loro poiche’ hanno votato negativamente allo scorso referendum consultivo. Gli occupati percepiscono comunque modesti stipendi, insufficienti per pagare luce, acqua e gas. Tanti vivono veramente in stato di povertá che peggiora di giorno in giorno e non solo nelle favelas o nei barios, ma anche nelle modeste casette protette da reticolati (contro tanti malintenzionati depredatori).

3. Gli italo-venezuelani reclamano legalità e rispetto dei diritti fondamentali

Francamente la diginità umana viene subordinata ad altre logiche inacettabili. Le teorie marxiste inserite nei programmi alla base del nuovo corso socialista del XXI secolo, per quanto ci e’ stato raccontato, non accontentano neppure le classi povere. A parole dovrebbero sollevarle dall’indigenza, ma i risultati non si vedono. Vivere chiusi come carcerati perche’ non adeguatamente protetti dall’ordine pubblico significa affermare che lo Stato da questo punto di vista non è in grado di garantire pienamente la libertá dei cittadini. Nel frattempo pero’ i giovani venezuelani, anche d’origine italiana, stanno diventando a loro volta emigranti in Europa ed America: da paese ospitante e ricco il Venezuela diventa paese di emigrazione (al contrario di quanto capita in Italia). Liberi di andarsene per dar vita ad una emigrazione fatta da gente che in famiglia ha giá conosciuto il dramma dell’emigrazione.

4. Gli emigranti interpellano la Chiesa

Essi sanno che la Chiesa non ha soluzioni politiche da offrire ma richiama i suoi principi che stanno alla base del bene comune. Gli spazi di liberta´e democrazia si ampliano solo con il rispetto della legalità, con libere elezioni garantite da ogni broglio temuto. Non puo’ dirsi del tutto democratico un paese dove la libertà privata viene messa in discussione, mentre qui si parla a breve di provvedimenti contro la proprietá, preannunciandone la confisca. Questo, tra l’altro, significherebbe la fuga dal Venezuela degli stranieri (italiani per primi) con cio’ che ne consegue. Per essere civile un paese deve garantire ai genitori di educare liberamente i propri figli secondo i loro principi. Anche in Venezuela questo accade attraverso la scuola pubblica non statale gestita dai religiosi. E’ in discussione al Parlamento locale (una sola Camera, con una maggioranza blindata) un progetto di legge che bloccando i costi delle rette mentre i costi salgono, andrà a provocare la chiusura di queste libere istituzioni formative. Dietro questo potrebbe significare la definitiva partenza dei pochi religiosi rimasti. ia. Come uscirne? Rispettando questi principi, per buona parte rifacentisi a quelli della sussidiarietá, ben evidenziata nella Dottrina Sociale della Chiesa. Rispettando dunque il senso religioso e la spiritualità dei cittadini venezuelani, compresi gli italiani con doppio passaporto. Investendo sul posto gli utili del petrolio per creare cultura, crescita sociale ed economica. La Comunità internazionale non sottovaluti questo stato di cose che graverebbe, oltre che sui poveri disgraziati indifesi ed inermi, anche su tante nazioni europee, con il possibile rimpatrio di tanti connazionali. Il Governo Italiano, ci `stato chiesto, alzi la voce prima che sia troppo tardi, per difendere ancor piu’ i propri connazionali. La Chiesa venezuelana, abbiamo letto dei decumenti in proposito, denuncia con coraggio tutte le ingiustizie: e’ il Vangelo che glielo impone. Da quella italiana, i connazionali si aspettano qualche microprogetto di tipo sanitario o comunque sociale, localizzandolo presso i suoi stessi bravi, anche se pochi, preti italiani. Le Regioni, nuovi soggetti di politiche migratorie, vengono viste troppo distanti e frazionate tra di loro: facciano un tavolo di coordinamento nazionale e realizzino qualcosa di veramente utile e durevole. Ai nuovi Parlamentari eletti nell’America Latina, anche in rappresentanza del Venezuela, viene richieto di lasiare da parte le contrapposizioni politiche, per occuparsi realmente in favore degli italiani che vivono in modo disagiato fuori della Patria.

5. La speranza cristiana sostenga chi vive nella prova

Nelle messe per gli italiani, celebrate durante la visita alle comunitá venezuelane si è pregato perche’ non venga meno l’aiuto di Dio e la speranza cristiana, unica forza dei credenti. Essa pero’ si manifesterá solo se tanti uomini di buona volontà faranno la loro parte, dando cosi’ dignitá a tanti uomini in difficoltà, come lo sono i nostri italiani che vivono nella Repubblica Venezuelana, terra fin troppo accarezzata dal sole ma ancora poco considerata da quanti hanno la responsabilità di far crescere nella pace e nel benessere il popolo che rappresentano. (LP)

Il servizio pastorale agli Italiani di Caracas


La cura religiosa degli italiani ebbe una organizzazione a partire dal 1958 quando i missionari scalabriniani decisero di impegnarsi in Caracas con padre Giovanni Simonetto che iniziò la sua opera in una collettività italiana che, a quel tempo contava circa 250.000 unità.
Il segno di una solidità di presenza in mezzo alla comunità italiana lo fornisce la costruzione di una cappella “Madonna di Pompei” in località La Campiňa nel 1960. Seguì a breve l’inizio della Scuola 2madonna di Pompei” dove la collettività voleva darsi uno strumento per non perdere la propria identità.
E’ nel 1969 che la grande domanda di assistenza ad una comunità italiana che in quel tempo contava circa 90.000 persone in Caracas, spinse per la costruzione della chiesa “Nostra Signora di Pompei” in località Alta Florida. Resta ancora oggi l’unica missione che si occupa degli italiani pur svolgendo i serviti richiesti ad ogni parrocchia in favore di tutti i battezzati.
Questa realizzazione prevedeva nel tempo tre altri momenti significativi che furono realizzati. Nel 1971 i padri scalabriniani diedero inizio alla rivista “Incontri” che continua anche oggi le sue pubblicazioni mensili di informazioni, ispirazione ed orientamento per la comunità italiana in Venezuela. Nel 1975 si inaugurò la casa per gli anziani “Villa Pompei” costruita sulle colline di Bello Monte a 30 chilometri da Caracas, Nel 1977 si aggiunse il centro studi e documentazione “CEPAM” con il compito di monitorare e riflettere sul fenomeno della presenza italiana nel paese.
A mezzogiorno, durante il pranzo nella missione di Pompei, i padri Zelindo e Joseph hanno invitato il vescovo ausiliare di Caracas Mons. Nicolas bermudez. Ha una profonda conoscenza della realtà Della grande metropoli che tocca ormai i 6 milioni di abitanti. Ha assunto l’amministrazione diocesana per due anni fino alla nomina del cardinale UROSA Savino.
Le sue parole comunicano pacatezza e saggezza e favoriscono familiarità e fiducia che cogliamo con piacere in un dialogo piacevole a più voci.

Caracas. Pare!


“Fermati”, il segnale che ti ordina di fermarti allo stop perché procedere è proibito se si vuole evitare uno scontro.
Una sensazione di blindatura e di difesa ad oltranza sembra invaderti quando arrivi a Caracas. Un’atmosfera dove la tensione e il malcontento è palpabile. Una tristezza infinita aal vedere ville e case molto belle chiuse “perché sono andati via”, oppure case chiuse dentro nel perimetro da alti muri messi insicurezza dal filo spinato. Recinti di case che portano un ulteriore rialzamento con quattro fili in tensione elettrica. In ogni realtà o istituzione c’è la guardiola con il custode o l’uomo della sicuritas.
Anche la Parrocchia di Pompei tenuta dai padri scalabriniani non sugge alla regola generale della Caracas affollata nei suoi barrios da oltre 6 milioni di persone. Gli spazi sono limitati, le montagne sono a ridosso e le misere abitazioni sono inchiodate lungo le pendici. I racconti che asclti ti levano ogni velleità di uscire e girare da soli e spesso anche in compagnia ti sembra che solo certi quartieri o municipi sembrano ospitare persone più serene che possono vivere con una certa tranquillità. Anche il centro italiano, grande, infinito con ogni struttura ben costruita per ogni esigenza, se da una parte presenta la dedizione di dare spazio a quanto serve per una collettività e lo sviluppo di ogni famiglia, dall’altro hai la sensazione che è un benessere blindato entro i confini ben protetti dove entrano e ne usufruiscono per lo più i solo soci.
Gli italiani associati al centro italo venezuelano non superano la percentuale del 25% e comprendo per lo più il ceto alto della colonia italiana. L’altro 75% non lo si vede proprio, mischiato com’è nei barrios di vecchia data e consolidati da abitazioni di una certa dignità dove si vivono tranquillamente gli italiani, funzionari, diplomati e laureati anche se con occupazione precaria e per nulla sufficiente per arrivare alla fine del mese, commercianti e liberi professionisti e dipendenti normali con una fatica enorme a mantenere quanto hanno concretizzato fino ad oggi.
In molti c’è il desiderio tormentato che fa pensare il viaggio verso l’Italia come la possibilità più saggia da percorrere a breve termine. Alcuni, toccati da vicino dalla violenza che rapisce, aggredisce, sequestra, non riescono a contenere la drammaticità della loro ferita e fa loro urlare con toni bassi e appena sussurrati che vogliono partire ma non sanno cosa troveranno in Italia perché hanno paura di non riconoscerla più.
La maggior parte delle famiglie italiane gestiscono la loro quotidianità in una normalità che li vede accanto ai venezuelani e alle persone che vivono le stesse precarietà del territorio, condividono le stesse possibilità ed opportunità esistenti, soffrono con rabbia per le esclusioni che un potere arrogante determina in base alle appartenenze politiche, spera per i figli partiti all’estero per tentare un formazione ed un’occupazione che assicuri speranze credibili, si avvicina alle parrocchie e ai loro preti dove partecipano ad iniziative che riconoscono come riconosciute dalla loro sensibilità religiosa e condividono preghiera e ascolto di una parola che dà conforto.
In questa maggioranza degli italiani, compresa in pieno nell’invisibilità comune alla più parte degli emigrati della prima generazione sparsi nel mondo, c’è una sacca e purtroppo non piccola, di indigenti che oltre a non aver più nulla, portano un peso terribile della solitudine, perché non hanno più nessuno su cui contare. Quando arriva la malattia o la miseria la decadenza e la fine si fanno repentine. Spesso non si sa chi sono, dove abitano, di cosa hanno bisogno. Qualcuno ha tentato un monitoraggio per costruire numeri e situazioni e dare concretezza alla proposta di un sussidio di indigenza da assicurare quale pensione minima di sopravvivenza.
Le iniziative non mancano sia da parte dei Comitati di assistenza, sia dalle associazioni di volontari collegate alle parrocchie italiane o agli stessi patronati e ai club italo-venezuelani. E’ comunque urgente intervenire per ridare fiducia, per consolare, per ritrovare stimoli ad unire forza e convincimento in una resistenza che diventa sempre più indispensabile.
Si deve fare i conti con la fatica a mettersi in rete per una sussidiarietà che garantisce una migliore coordinazione ed una migliore distribuzione delle poche risorse disponibili.

Maracay


Il giovane presidente della “Case de Italia” di Maracay ha lasciato il suo lavoro di imprenditore metalmeccanico per accoglierci quando arriviamo attorno a mezzogiorno.
Abbiamo l’appunatemnto dal vescovo locale Mons. Reinaldo Del Prette che è anche amministratore della Diocesi di Valencia. Ciro Mauriello è il presidente di seconda generazione che seguendo l’esempio paterno ha deciso di impegnarsi insieme a sua moglie nella conduzione di questa impegnativa struttura chiamata Casa d’Italia. Con Mirtha D’Astolfo segretaria e presidente degli Abruzzesi, e Cavani Margherita presidente della Dante Alighieri percorriamo alcune centinaia di metri e siamo all’episcopio.

L’aspetto formale dell’edificio è subito superato dalla spontaneità ed esuberanza dell’italianità del vescovo che ci accoglie con un gran sorriso e ci invita ad accomodarci attorno ad un tavolo confortevole. Il vescovo è Reinaldo Del Prette (si legge Del Prete ma è scritto con l’abbondanza di una “t” di troppo) è originario di Murgerata (Salerno). Ci intratteniamo per ben 2 ore mezzo e subito ci racconta del prossimo viaggio che stanno organizzando come diocesi lungo le località religiose e spirituali della penisola italiana.
Il racconto si fa vivo e drammatico quando i responsabili italiani fanno il racconto del sequestro che hanno subito qualche mese fa. L’emozione traspare dalle loro parole e si partecipa allo smarrimento e alla angoscia che hanno vissuto, quando furono abbandonati nei prati, praticamente nudi e depredati da tutto. Trovarono accoglienza da una signora che con coraggio, aprì loro la casa per soccorrerli: fu una donna friulana. I temi affrontati sono diversi: cura pastorale degli italiani, le attività delle associazioni, l’ampia conoscenza del Vescovo delle varie famiglie italiane, il confronto con altre esperienze europee e americane circa l’apostolato italiano, le seconde generazioni. Con partecipazione passano in fretta le ore e poi si decide di condividere il pranzo presso il ristorante della casa d’italia.
Dpo 30 minuti ci sediamo attorno ad una buona tavola imbandita con piatti ben preparati. Si continua la conversazione in toni molto familiari e cordiali. Lo scambio di doni per suggellare una conoscenza fraterna e i saluti con relativi auguri di un reciproco buon proseguimento.


Nel pomeriggio ci si reca in visita giornale “El Aragueno”. E’ il quotidiano locale preso in mano da un grande imprenditore italiano di Maracay. Filippo Sindoni.
Questo nome lo si sente pronunciare con molto rispetto e rimpianto: lo scorso mese di marzo 2006 è stato ucciso nel corso di un sequestro per rapina banale. Un avvenimento che gettò nella costernazione tutta la città di Maracay che decretò il lutto cittadino. Un “signore” sotto tutti i punti di vista, che sapeva essere un buon imprenditore con lo spiccato gusto di stare accanto a tutti gli imprenditori italiani per incoraggiarli, entrare in collaborazione, sostenerli nel bisogno, apprezzare le iniziative di chi aveva coraggio. Un impegno imprenditoriale a 360 gradi che sapeva diversificare risorse ed interessi, dall’alimentazione alla comunicazione. Oggi il giornale è diretto dalla nipote che ha raccolto la sfida e l’eredità dello zio.
Una giornalista ci avvicina e realizza un’intervista che sarà pubblicata. Le motivazioni della visita e le tematiche di fondo del presente della colonia italiana saranno di nuovo descritti per sottolinearne i valori tradizionali e portanti la vita di tutta la comunità
Terminata l’intervista si raggiunge la TVS televisione locale fondata da Sindoni. Visitiamo alcuni reparti di produzione e diffusione del segnale, incontriamo alcuni giornalisti del notiziario e accompagnati dalla direttrice del canale la signora Rina che parla un ottimo italiano terminiamo con un omaggio al fondatore della televisione.
Ormai è sera e, ritornando alla casa d’italia si partecipa all’inaugurazione di una mostra pittorica per poi recarsi in teatro per l’incontro programmato con le associazioni e quanti desiderano scambiare opinioni e riflessioni.